venerdì 14 dicembre 2012

Nevicano stelle



L'idea si copre di neve.
Io vi regalo un racconto scritto tanto tempo fa.
Buona lettura.


Nevicano stelle


di Kettj Talon
Meno tre: impara che la neve mente.

Punge sinuosa il tuo naso e inganna la tua mente. Ti fa vedere mocciosi allegri che ingaggiano

guerre senza feriti. Ma i caduti ci sono, solo che sono sepolti. Basta un timido raggio di sole a disseppellirli. Basta inciampare. Il piede scosta il velo bianco che li ricopre e li vedi.

E non c’è resurrezione che tenga.

La neve ha un viso irregolare,occhi che ti guardano attraverso e labbra sottili barricate dietro il bavero di un cappotto. Arriva mentre sorseggio caffè davanti ad un flyer di un concerto.

Mi fissa. 

Mi armo di tutta la durezza che non ho avuto mai e continuo a leggere.

Klaxons. Venerdì 9 Febbraio. Sento il suo sguardo. Sento la voce nella mia testa che recita un mantra.

Girati e va. Girati e va. E va.

I piedi devono essersi fusi con l’asfalto. Non rispondono ai comandi e resto lì. 

Il nuovo album dei Klaxons è disponibile in tutti i negozi di dischi. Continuo a rileggere la stessa frase. In tutti i negozi di dischi. 

“Non è roba per te” dice quella presenza alle mia spalle.

Continuo a fissare il ragazzo ritratto al centro. Pantaloni e felpa nera col cappuccio. e cintura. Il viso pallidissimo incorniciato da una frangetta, occhi obliqui e labbra semiaperte. Ha le mani in tasca ed è proteso verso l’esterno. Pronto a sussurrarti un invito a banchettare con la sua musica.

“E’ roba da quindicenni che sbavano dietro a ogni gruppo finto alternative che qualche rivista inglese incorona re del momento e che domani rimpiazzeranno con un altro gruppo ancora più finto e meno alternative” continua.

Kavolo. Kavolo. Kavolo. 

Mi volto. E mentre lo faccio il mio cappotto disegna un semicerchio.

“Sono lieta che la mia figura non ti suggerisca ascolti indegni”.

Abbassa il capo per risollevarlo un secondo dopo. 

Sorride. 

Kavolo. Kavolo. Kavolo.

“Ci vai?”

“Dove?”

“A vedere il concerto”.

“Penso di sì.”

“Allora ci vediamo lì.”

Il vento s’alza e porta con sé piccoli cristalli di neve.

Accenno un sorriso. Mi volto. E il cappotto disegna un secondo semicerchio, andando a sigillare parole cariche di promesse.

“Comunque mi chiamo Roman!”. Urla alle mie spalle.

Continuo a camminare.

Meno due: impara che il tizio del meteo mente. E’ convinto che la neve sia una precipitazione atmosferica. Palle. Non è solo acqua fredda solidificata. E’ sospensione. E’ l’istante prima che qualcosa accada. E’ la messa in scena del futuro.

Attraverso la strada. Il mio passo è veloce, così i miei pensieri. 

Penso al ragazzo appena incontrato. Ai suoi occhi. Ai riccioli che gli incorniciano il viso. Penso alla sua voce roca.

Penso che mi sparerà alle spalle.

Ora il gelo si è fatto più tagliente. Nascondo il viso sotto la sciarpa.

Meno uno: impara che il bianco della neve mente. Non è candido. Non è immacolato. Racchiude in sé un malessere, un sospiro che ne intacca la purezza. Sussurra possibilità, accadimenti futuri. Urla incertezza.

Sono nell’atrio di questo locale da troppo tempo. Ho osservato ogni singola persona che ha varcato la porta. Ho esaminato ogni paio di scarpe, ogni maglia, ogni viso imberbe, ogni piega delle labbra. Il ragazzo barricato dietro il bavero del cappotto aveva ragione: sono tutti molto giovani. Indossano stelle sulle maglie, tra i capelli, tatuate sui corpi come paramenti sacri di questo rito pagano che si sta per celebrare. Parlano, ridono. Aspettano che i sacerdoti che stasera terranno la cerimonia escano sul palco. Io aspetto qualcos’altro. Aspetto stelle che cadano dal cielo.

Non verrà. Non verrà. Non verrà.

Le luci si abbassano. Il pubblico si avvicina impaziente al palco. Urla. Applaude. Ha occhi che luccicano. Il gruppo è entrato in scena.Non è un animale da palco, ma ai loro piedi un branco selvaggio si agita. Suda, canta, si diverte spensierato.

Dal fondo della sala mi maledico per essere incapace di leggerezza.

Non verrà. Ti prego fa che venga. Per favore. Per favore.

La musica mi protegge. La musica mi protegge.

Decido che basta. Non verrà nessuno e tutto quello che ora ho è questa gente con una voglia matta di divertirsi, di toccarsi. Mi concentro su di essa, sulla musica sincopata, su ogni singola goccia di sudore, su ogni sospiro di spirito adolescenziale. C’è odore di vita. 

A tratti manca l’aria. Il caldo mi prosciuga, mi sfianca, ma è calore. E’ umanità, contatto e compagnia.

Il concerto prosegue veloce, affamato di deliri, desideri e distorsioni.

Sento qualcuno prendermi la mano e stringere dolcemente la presa. Sento la sua voce. Sento odore di neve. Ha smesso di nevicare neve. 

Nevicano stelle.

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